Nelle ultime settimane la rapida diffusione della variante Omicron in Italia ha portato ad un notevole incremento del numero di test rapidi eseguiti quotidianamente per sapere se si è positivi al Sars-Cov-2. L’affidabilità di tali test è spesso oggetto di discussione e sono in molti a ritenerli poco affidabili. Come dobbiamo interpretare i risultati di tali test? Ecco che la matematica e la teoria delle probabilità ci vengono incontro.
Per poter quantificare la probabilità che il risultato del test appena eseguito sia corretto, occorre valutare due importanti grandezze: la sensibilità e la specificità. La prima indica la percentuale di positivi correttamente identificati come positivi al coronavirus. La seconda è la proporzione di negativi che sono correttamente identificati come negativi al coronavirus. Ne segue che avere un’alta sensibilità significa avere pochi falsi negativi, mentre un’alta specificità significa avere pochi falsi positivi. Pertanto, essendo interessati ad identificare correttamente i positivi al covid, la nostra indagine è maggiormente interessata al valore di sensibilità del test.
Bisogna, tuttavia, fare un ulteriore sforzo matematico e servirsi del teorema di Bayes per dare una corretta interpretazione al risultato del test.
Secondo il Teorema di Bayes la probabilità che una persona sia positiva dopo un test risultato positivo (P(C|T)) è dal rapporto tra la sensibilità (P(T|C)) moltiplicata per la probabilità di avere il coronavirus data la sua diffusione (P(C)), e la probabilità che il risultato del test sia corretto (P(T)). Tradotto in formula, il teorema di Bayes è descritto dalla seguente espressione: P(C|T) = P(T|C) *P(C) / P(T).
Essendo il formalismo matematico tutt’altro che intuitivo, proviamo ad accompagnarlo con un esempio più concreto. Immaginiamo di sottoporci ad un test piuttosto accurato, con sensibilità e specificità entrambe del 99%. Ipotizziamo, inoltre, che la malattia oggetto di rilevazione del test sia presente in una presente in una persona ogni 10.000. Quest’ultima è la probabilità di avere la malattia sulla base della sua diffusione. Utilizzando un milione di persone come campione del nostro esperimento, sappiamo in base alla probabilità a priori che ad avere la malattia saranno in 100. A non averla saranno quindi in 999.900. Sulla base dei valori di sensibilità e specificità si ha che: sono 99 (100*99/100) le persone correttamente identificate come malate e 989.901 (999.900*99/100) quelle correttamente identificate come sane. Dalla differenza tra il numero totale di realmente negativi e il numero di test risultati negativi (999.900 – 989.901) si evince che 9.999 persone saranno state valutate positive pur non essendolo realmente. Di conseguenza la probabilità di avere realmente la malattia è 99 su 10.098 (99 + 9.999), cioè lo 0,98%.
Consideriamo adesso il caso in cui la malattia sia molto più diffusa: ad esempio, ad essere malata è una persona ogni 100. Andando a testare un milione di persone il test identifica correttamente come positive 9.990 persone (in realtà sono 10.000) e come negative 980.100 (in realtà sono 990.000). Pertanto, tra le 19.800 persone che risultano positive al test, 9.900 sono realmente positive ma 9.900 sono in realtà negative. Se siamo positivi al test, quindi, la probabilità di essere realmente positivi è del 50%. Sebbene il test sia lo stesso (stessi valori di sensibilità e specificità di prima), la sola variazione dell’incidenza della popolazione dà un risultato finale differente.
Applichiamo ora il Teorema di Bayes ai test di Coronavirus effettuati in Italia nella scorsa settimana. Circa 680 mila persone sono risultate positive, l’1,2% dell’intera popolazione. Ipotizzando che, per il continuo aumento del tasso di positività, il numero di casi non trovati sia almeno pari a quello di quelli rilevati, la reale prevalenza è di circa il 2,5%.
Dato un campione di 1 milione di persone e un test con sensibilità e specificità pari al 99%, avremmo 24.750 veri positivi e 9.750 falsi positivi. Con questi dati, la probabilità di essere realmente positivi, se si fa un test che risulta positivo, è del 71,7%. I veri negativi sarebbero invece 965.250 e i falsi negativi 250, per cui la probabilità di essere in realtà positivi, se si risulta negativi, sarebbe vicina allo 0%. Ma se applicassimo la prevalenza dell’1,2% la probabilità di essere positivi realmente dopo un test positivo scenderebbe al 55%.
Nella pratica, tuttavia, le cose sono piuttosto diverse. Infatti, la scelta del milione di persone oggetto dell’esperimento non può essere fatta in maniera random. Sebbene non si hanno a disposizione dati sul motivo per cui ci si sottopone al test, è sicuramente ragionevole assumere che una parte importante riguardi chi ha sintomi o chi è stato a contatto con un positivo. Questo fa sì che la probabilità a priori sia sensibilmente più alta dei valori dell’1,2% o 2,5% ipotizzati in precedenza. Dunque, supponendo che si aggiri intorno al 10%, in questo caso la probabilità di essere davvero positivi in un test che dà un risultato positivo è salirebbe al 92%.
Ciò ci porta a concludere che i test antigienici rappresentano un’ottima soluzione a chi è interessato a sapere rapidamente se è positivo o meno. Tuttavia, è importante tenere a mente che sottoporsi ad un test accurato al 99% non significa affatto che questo sia corretto nel 99% dei casi.