Come nacque il teorema della base di Hilbert
Se ci domandassimo se l’equazione x^2-9=0 ha soluzione, avremmo due alternative. O esplicitare le soluzioni attraverso calcoli: x=3, x=-3, oppure, assicurare, ricorrendo ad un opportuno teorema, che l’equazione ha soluzione, pur non sapendo come determinarla. È questa la differenza tra una dimostrazione costruttiva ed una esistenziale. Naturalmente, la seconda strada risulta essere più utile ed efficace quando il matematico si ritrova dinanzi problemi decisamente più complicati di una semplice equazione di secondo grado (tra l’altro, incompleta): con equazioni di grado superiore al secondo, spesso, è più facile dimostrare l’esistenza di una soluzione che trovarla.
Nel 1888, il giovane Hilbert sbalordì i suoi contemporanei, dimostrando un risultato matematico che oggi prende il nome di teorema della base (di Hilbert), in modo non costruttivo: tale teorema garantiva l’esistenza di una certa base (non entro nei dettagli tecnici), ma non forniva alcuna istruzione su come trovarla.
Come la comunità scientifica reagì al teorema della base di Hilbert
Questa assenza di formule esplicite causò polemiche, controversie, sconcerto e scandalo nella comunità scientifica dell’epoca, a cominciare da Kronecker che si oppose duramente alla dimostrazione di Hilbert, definendola “sinistra”. Per il matematico tedesco, una dimostrazione di esistenza doveva necessariamente passare dalla costruzione dell’oggetto (in questo caso la base) di cui si voleva dimostrare l’esistenza. In altre parole, era convinzione comune che la prova dell’esistenza di una certa soluzione non potesse in alcun modo prescindere da un metodo effettivo che la determinasse, altrimenti si finiva col fare “non matematica, ma teologia”, come ebbe a commentare Paul Gordan, uno dei più critici tra i colleghi di Hilbert.
La risposta di Hilbert
A tali obiezioni, Hilbert ribatté con una sorta di paradosso, per di più riferito proprio al mondo accademico che lo aveva aspramente attaccato. Fece notare che in un’aula universitaria piena di studenti ce n’era senza dubbio almeno uno (o una) che aveva più capelli di tutti e che, evidentemente, non c’era modo di individuarlo (o individuarla) in modo semplice e diretto. Tale difficoltà oggettiva, tuttavia, non inficiava il fatto che lui (o lei) esistesse. L’approccio esistenziale hilbertiano sarebbe diventato la fonte di molti dei suoi successi e avrebbe caratterizzato la matematica del XX secolo.
L’influenza di Hilbert e suoi teoremi
Numerosi sono i teoremi e gli oggetti matematici che, oggi, portano il nome di Hilbert: teorema della base di Hilbert, teorema degli zeri di Hilbert, assiomi di Hilbert, paradosso dell’Albergo Infinito di Hilbert, matrice di Hilbert, problemi di Hilbert, trasformata di Hilbert, spazio di Hilbert. In riferimento a quest’ultimo, si racconta un aneddoto curioso che rivelerebbe la simpatia e l’insospettata modestia del famoso matematico. Durante una conferenza sugli spazi di Hilbert, sussurrò a Courant, che gli sedeva vicino: “Ma insomma, Richard, potresti spiegarmi cosa esattamente sia uno spazio di Hilbert?”.
La sua celebre frase “Dobbiamo sapere, sapremo”, incisa sulla sua lapide, riflette l’ansia di conoscenza dell’ultimo grande matematico universale. Per uno strano scherzo del destino, il giorno prima che Hilbert pronunciasse questa frase, Kurt Godel aveva presentato la sua tesi, con il famoso teorema di incompletezza: ci sono proposizioni che potrebbero essere vere, ma che non siamo in grado di dimostrare.A proposito di Gordan, quest’ultimo finì col riconoscere che Hilbert aveva ragione e che “anche la teologia ha i suoi pregi”. Riguardo l’esempio presentato per rafforzare il suo approccio non costruttivo, Hilbert si guardò bene dal fare riferimento ad una casa di cura…