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Qual è l’età dell’Universo? Il doppio di quella che pensavamo!

L’età dell’Universo è stata a lungo considerata di 13,7 miliardi di anni, ma recentemente una nuova teoria ha sollevato un’enigmatica ipotesi. Secondo questo nuovo studio, ad opera del fisico Rajendra Gupta dell’Università di Ottawa, l’Universo potrebbe essere molto più vecchio di quanto stimato finora. Questa ipotesi apre prospettive sulla nostra comprensione della storia dell’Universo e della formazione delle prime galassie.

Qual è l’età dell’Universo? La nuova ipotesi

Per decenni, gli astronomi hanno calcolato l’età dell’Universo in base al tempo trascorso dal Big Bang e all’osservazione delle stelle più antiche tramite il redshift. Tuttavia, la scoperta di galassie primordiali apparentemente mature e stelle che sembrano precedere l’Universo stesso ha suscitato domande che l’attuale modello cosmologico non riesce a spiegare. Gupta ha quindi ripreso la teoria della “luce stanca” di Fritz Zwicky, secondo cui la luce proveniente da galassie lontane perderebbe energia durante il viaggio cosmico. Ha combinato poi questa ipotesi con l’attuale modello dell’universo in espansione.

Secondo la teoria di Gupta, l’aumento della lunghezza d’onda della luce delle galassie distanti sarebbe dovuto sia all’espansione dello spazio sia alla progressiva perdita di energia dei fotoni durante il loro viaggio. Questa combinazione delle due ipotesi precedentemente separate potrebbe essere la chiave per risolvere alcuni dei più grandi misteri dell’Universo. Il fisico canadese sostiene che le costanti di accoppiamento, che descrivono le interazioni tra particelle, potrebbero variare nel tempo in base all’energia. Questa variazione potrebbe influenzare il comportamento della luce e, di conseguenza, rendere errati i calcoli sull’età dell’Universo.

L’Universo in espansione e il redshift

Il redshift, o spostamento verso il rosso, è un fenomeno osservato quando la radiazione emessa da un oggetto in allontanamento ha una lunghezza d’onda maggiore e una frequenza minore rispetto al momento dell’emissione. Ciò causa uno spostamento del colore verso il rosso nello spettro del visibile. Questo fenomeno è utilizzato dagli scienziati per determinare la distanza e l’età delle galassie. Secondo l’attuale modello cosmologico, il redshift è spiegato dall’espansione dell’Universo. Infatti, gli oggetti celesti distanti si allontanano l’uno dall’altro e le radiazioni luminose da essi emesse si allungano, apparendo più rosse e rivelando l’età e la distanza dell’oggetto. In pratica, quando osserviamo galassie distanti, appare evidente che si stanno allontanando da noi a velocità sempre maggiori a causa della dilatazione dello spazio. Le radiazioni luminose che giungono da queste galassie sono sottoposte a uno spostamento verso il rosso. Questo permette di calcolare la loro distanza e ricavare l’età approssimativa dell’Universo.

La teoria della luce stanca di Fritz Zwicky

Fin dagli anni ’20, l’astronomo Fritz Zwicky propose la teoria della “luce stanca”, in cui suggeriva che la luce, viaggiando per lunghe distanze, perdesse energia. Questo avrebbe comportato una diminuzione della frequenza e un aumento della lunghezza d’onda della radiazione, rendendo il colore dell’oggetto più rosso di quanto dovrebbe essere. Tuttavia, la teoria della luce stanca venne abbandonata a causa dei numerosi problemi che presentava, portando gli scienziati a concentrarsi sull’espansione dell’Universo come spiegazione principale per il redshift.

Questa teoria è stata avanzata da Zwicky come alternativa alla teoria del Big Bang, che è la spiegazione dominante dell’origine e dell’evoluzione dell’Universo. La teoria del Big Bang suggerisce che l’universo sia nato da una singolarità primordiale e si sia espanso nel corso del tempo. La teoria della luce stanca cercava di spiegare l’espansione dell’Universo senza ricorrere a un singolo evento di inizio. Tuttavia, la teoria della luce stanca non ha mai guadagnato un ampio consenso scientifico. La maggior parte della comunità scientifica continua a sostenere la teoria del Big Bang, supportata da un ampio corpo di evidenze sperimentali.

La proposta di Gupta sull’età dell’Universo

Secondo i calcoli di Gupta, l’Universo potrebbe avere un’età doppia rispetto a quella stimata precedentemente, di circa 26,7 miliardi di anni invece di 13,7 miliardi. La teoria proposta da Gupta è un’audace sfida ai paradigmi consolidati della cosmologia moderna. La possibilità di un’età dell’Universo doppia rispetto a quella precedentemente stimata ha sollevato grande interesse nella comunità scientifica. Tuttavia, questa è ancora un’ipotesi e richiederà ulteriori studi, osservazioni e analisi per essere completamente confermata o respinta. Se la teoria si dimostrasse corretta, avrebbe implicazioni profonde per la nostra comprensione dell’Universo e del suo sviluppo nel corso dei miliardi di anni. Aprirebbe nuovi scenari sulla formazione delle prime galassie e sulle dinamiche che hanno plasmato l’Universo primordiale. Inoltre, potrebbe rivelarsi un punto di svolta nella nostra comprensione delle costanti di accoppiamento e delle interazioni fondamentali tra le particelle.

Uno dei principali enigmi che la teoria di Gupta potrebbe risolvere riguarda le dimensioni e le masse delle galassie primordiali. Il fatto che queste galassie si presentino più piccole del previsto ha da sempre rappresentato una questione cruciale per gli astrofisici. La spiegazione potrebbe giungere attraverso l’ipotesi della luce stanca, perché le onde luminose perdono energia e quindi si riduce la loro quantità di moto, influenzando l’aspetto dei corpi celesti molto remoti. Ciò fa nascere la possibilità che queste galassie siano effettivamente più vecchie di quanto precedentemente stimato, perché l’universo potrebbe avere il doppio dell’età finora ipotizzata. Inoltre, il nuovo modello cosmologico potrebbe trovare una spiegazione anche per le stelle che sembrano precedere addirittura il Big Bang.

Published by
Maria Chiara Cavuoto