Matematica

Antinomie che hanno cambiato le sorti della logica moderna

Pare proprio che Paradossi e Antinomie siano preziosi fenomeni del nuovo modo di (s)ragionare. In rete se ne trovano tanti, ma tanti che viene da chiedersi “vi era bisogno di un nuovo saggio (si fa per dire) per elencarne una decina?”. Giustissima domanda; la risposta è: ve ne sono solo due o tre che hanno cambiato le sorti della Logica moderna: Richard, Gödel, Russel. Su queste tre antinomie viene, qui, posta attenzione speciale. Il presente scritto è redatto in modo estremamente semplificato (elementare) senza peraltro rinunciare alla correttezza logica sostanziale degli enunciati in esso contenuti. Il linguaggio utilizzato è quello naturale con la conseguente rinuncia all’impiego del linguaggio simbolico formalizzato proprio della Logica del primo ordine.

Antinomie nella storia: Antinomia del Mentitore

Le antinomie hanno trovato spazio fin dalla storia antica. Attribuita ad Epimenide, filosofo greco di Cnosso (VI sec, a.C:) quest’antinomia afferma che: se tutti i cretesi sono mentitori, quando Epimenide cita tale caratteristica, essendo anch’egli cretese, afferma il vero e contemporaneamente mente. Se dicesse la verità, egli mentirebbe, viceversa, se mentisse direbbe la verità. Conclusione: Epimenide mente se e solo se dice la verità.

Antinomia del barbiere

Se un barbiere ha l’obbligo di radere solo coloro che non si radono da soli, può radersi? Se lo facesse, infrangerebbe l’obbligo di radere esclusivamente quelli che non si radono da soli, mentre, se non lo facesse, diverrebbe uno di coloro che non si radono (da soli) e, conseguentemente, dovrebbe radersi. Conclusione: egli si rade se e solo se non si rade.

Frasi autoreferenziali

“La frase che segue è falsa”. “La frase che precede è vera”. Se la prima asserzione è vera allora è falsa la seconda che afferma la verità delle prima: ne segue che la prima frase è falsa. Se, per contro, la prima è falsa, allora è vera la seconda che afferma la verità della prima: dunque la prima frase è vera. Conclusione: la prima frase è falsa se e solo se essa è vera.

Antinomia del ponte

Nell’opera letteraria “El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha” di Miguel de Cervantes (1615) compare il seguente paradosso, tra le antinomie più conosciute: ad un militare messo a guardia di un ponte viene impartito l’ordine di uccidere tutti i passanti che avessero mentito circa il motivo per cui intendevano passare il ponte. Nel caso fosse impossibile stabilire quale fosse la verità, l’ordine era di procedere comunque all’esecuzione. Appare evidente il rischio insito nella risposta.

Un viandante cui viene posta la domanda, rispose: “voglio attraversare il ponte per essere ucciso”. Nel caso di risposta veritiera il viandante avrebbe avuto salva la vita (aveva detto la verità); in caso di risposta menzognera avrebbe dovuto essere impiccato ma, avendo detto la verità (dovrebbe essere veramente giustiziato) deve essere graziato. Conclusione: il viandante ha mentito se e solo se ha detto la verità.

Antinomie che hanno cambiato la logica moderna: Dilemma di Protagora

Protagora (486 a.C. – 411 a.C.) è stato un filosofo greco, considerato padre della sofistica e tra le sue opere più importanti troviamo “Ragionamenti Demolitori”. Si narra che, avendo egli tenuto lezioni di sofismo dialettico ad uso giuridico ad un certo Eulato, convenne con questi di essere pagato solo dopo che Eulato avesse vinto la sua prima causa in Tribunale. A fronte della perdurante insolvenza di Eulato, Protagora lo citò in giudizio sicuro di poter vincere.

Il ragionamento di Protagora, una tra le più note antinomie, fu: se vinco la causa Eulato mi deve pagare in forza della sentenza del tribunale, se perdo Eulato vince la sua prima causa ergo mi deve pagare in forza del contratto. Per contro Eulato argomentò: se vinco non pagherò, in forza del verdetto a mio favore se perdo non devo pagare in forza del contratto che stabilisce il pagamento solo dopo aver vinto la causa. Conclusione: le argomentazioni di Protagora ed Eulato sono entrambe corrette sebbene nettamente contraddittorie.

Paradossi di coerenza e completezza della aritmetica e della logica

Gottlob Frege (Wismar, 8 novembre 1848 – Bad Kleinen, 26 luglio 1925) fu il fondatore del logicismo dell’Aritmetica, ovvero del concetto secondo cui l’Aritmetica sarebbe riducibile alla sola logica. In antitesi con il pensiero di Immanuel Kant che, nella Critica della Ragion Pura, ipotizzava i concetti dell’Aritmetica essere esistenti a priori, egli riteneva che fossero ricavabili in modo esclusivamente logico.

In Die Grundlagen der Arithmetik (“I Fondamenti dell’aritmetica”) e in Grundgesetze der Arithmetik (“I Principi dell’Aritmetica”) Frege cercò di derivare le leggi dell’Aritmetica dagli assiomi mediante il solo calcolo logico. Parallelamente, David Hilbert operò sulla Geometria in modo analogo e con il medesimo obiettivo.

Il 16 giugno 1902, dopo la pubblicazione del primo volume dei Principi dell’Aritmetica, Bertrand Russel inviò a Frege una lettera in cui evidenziava un Paradosso derivante dall’adozione del V Assioma, Paradosso noto come Antinomia di Russel. Frege definì tale Antinomia come “la fine del lavoro di una intera vita”. La conclusione la si deve a Kurt Gıdel con i famosissimi due Teoremi di Incompletezza. Oltre l’antinomia di Russel, altre Antinomie portano alle medesime conclusioni, in particolare quella di Burali-Forti; nel seguito saranno analizzate le più importanti.

Antinomie che hanno cambiato la logica moderna: antinomia di Bertrand Russel

Questa, tra le antinomie che hanno lasciato un segno nella logica moderna parte dal presupposto che tutti gli insiemi siano divisibili in due categorie:

1) Insiemi Normali: non comprendono se stessi tra i propri elementi. Esempi di Insiemi Normali: l’insieme di tutti gli alberi ha, tra i propri elementi, solo alberi (e non insiemi); l’insieme di tutti i libri ha, tra i propri elementi, solo libri.

2) Insiemi Anormali: tra i propri elementi comprendono se stessi. Esempi: l’Insieme di tutti gli enti matematici comprende, tra i propri elementi, anche gli insiemi, e, in particolare, l’”Insieme di tutti gli enti matematici”; l’insieme di tutti i concetti pensabili comprende, tra i propri elementi, anche il concetto di “Insieme di tutti i concetti pensabili”.

Sia R l’Insieme di Tutti gli Insiemi Normali. Il Paradosso sorge quando si prova a stabilire se R, cioè l’Insieme di Tutti gli Insiemi Normali, sia Normale od Anormale. Supponendo che R sia Anormale, tra i suoi elementi dovrebbe comprendere se stesso; d’altra parte esso è l’Insieme di tutti gli Insiemi Normali e, quindi, non potrà contenere se stesso (infatti i suoi elementi possono essere solo Insiemi Normali). Supponendo per contro che sia Normale, tra i suoi elementi deve contenere se stesso (visto che per ipotesi pure lui è Normale); però se così fosse sarebbe un Insieme Anormale (in quanto contenente se stesso). Se ne conclude che R è Normale se e solo è Anormale.

Il Paradosso del Supercatalogo

Il contenuto illogico di tale Antinomia è esemplificabile con il Paradosso del Supercatalogo consistente nella impossibilità di decidere se il Catalogo di Tutti i Cataloghi (cioè Supercatalogo) sia un Normale o Anormale. Per completezza d’informazione, l’Antinomia di Russel (come quella di Burali-Forti più oltre descritta) sono generate dall’Insieme di tutti gli Insiemi che, sia lo stesso Russel, con la Teoria dei Tipi, che Zermelo con Fraenkel e Skolem con la Teoria nota come ZFC, tentarono di eliminare.

In una descrizione volutamente tanto semplice da apparire banale, la Teoria dei Tipi prevede la suddivisione degli insiemi per Tipo e che gli elementi di un Insieme debbano appartenere tutti allo stesso Tipo. Esemplificando ancora banalmente: un residente della città di Milano (Tipo 0) è anche un Lombardo (Tipo 1) che, a sua volta, è Italiano (Tipo 2) ossia europeo (Tipo 3); è quindi ovvio che l’Insieme di tutti gli Insiemi non potrà appartenere ai propri elementi, in quanto di Tipo superiore agli stessi. La Teoria ZFC prevede, per contro, che un Insieme debba poter essere Sottoinsieme di un Insieme di cardinalità maggiore; è allora ovvio che l’Insieme di tutti gli Insiemi non può rispettare tale condizione essendo, esso stesso, omnicomprensivo.

Antinomia di Richard

L’Antinomia di Richard, tra le antinomie più note, limita la propria applicabilità alla Aritmetica. I Numeri Naturali possiedono proprietà esprimibili in termini semantici. Ad esempio, il numero quattro possiede la proprietà di essere un quadrato perfetto, il numero sette di essere un numero primo, il numero cinque di essere dispari, ecc.

È allora possibile stabilire un elenco di proprietà e tale elenco avrà un numero finito di termini; ciò deriva dal fatto che le proprietà dei Numeri Naturali sono in numero finito, in forza di una qualsiasi assiomatizzazione della Aritmetica. Tale elenco sarà numerabile ed il criterio di numerazione può essere del tutto arbitrario. Ad esempio, si potrà avere:

  1. Essere un quadrato perfetto;
  2. essere un numero primo;
  3. essere un numero pari;
  4. essere un numero dispari;
  5. essere una decade;
  6. essere la metà di una dozzina;

dove i numeri 1, 2, 3, 4… indicano esclusivamente la posizione delle proprietà nell’elenco delle stesse. È facile notare come alcuni numeri indice possiedano esattamente la proprietà a cui sono collegati. Ad esempio, il numero 2, che è un Numero Primo, è collegato alla proprietà “essere Numero Primo” o il numero 6 è esattamente “la metà di una dozzina”. Al contrario altri indici sono collegati a proprietà che essi stessi non possiedono: il numero 1 NON è un “quadrato perfetto”, così come il numero 3 NON è un “numero pari”.

Che vuol dire “essere Richardiano”?

Si definisca ora la proprietà di “essere Richardiano” come quella di quei Numeri Naturali che sono collegati a proprietà che essi stessi NON possiedono. Ad esempio, il Numero 4 è Richardiano, dato che è collegato alla proprietà di essere dispari e 4 è ovviamente pari (cioè NON possiede la proprietà cui è collegato), mentre il Numero 6 NON è richardiano in quanto possiede proprio la proprietà di essere “ la metà di una dozzina”. Essere Richardiano è, ovviamente, una proprietà dei Numeri Naturali e, come tale, sarà numerabile nell’elenco delle suddette proprietà. Si supponga che il numero indice cui è collegata sia N. Sia cioè:

  1. Essere un quadrato perfetto;
  2. essere un numero primo;
  3. essere un numero pari;
  4. essere un numero dispari;
  5. essere una decade;
  6. essere la metà di una dozzina;

N-essere Richardiano.

Ci si chiede ora se N sia o meno un numero Richardiano. Si supponga che esso sia Richardiano e, quindi, per definizione, non può possedere la proprietà cui è collegato, cioè quella di essere Richardiano; conclusione se si ipotizza sia Richardiano esso non può esserlo.

Si ipotizzi allora che esso NON sia Richardiano; in tale caso possederà la proprietà cui è collegato, cioè proprio quella di essere Richardiano. Sinteticamente N è richardiano perché è collegato, nell’elenco delle proprietà, proprio a quella di “essere richardiano”, ma, per definizione, per essere richardiano non può possedere tale proprietà. In conclusione N è Richardiano se e solo se Non è Richardiano.

Antinomie che hanno cambiato la logica moderna: antinomia di Berry

Una delle antinomie più famose coinvolge l’esprimibilità semantica di Numeri estremamente grandi. Tutti sappiamo che:

  • 1.000.000 è esprimibile come “un milione”;
  • 1.000.000.000 è esprimibile come “un miliardo”;
  • 1012 è esprimibile come “mille miliardi”;
  • 1018 è esprimibile come “un miliardo di miliardi”;
  • 1021 è esprimibile come “mille miliardi di miliardi”;
  • 1027 è esprimibile come “un miliardo di miliardi di miliardi”.

Come è facile osservare le frasi contengono una quantità crescente di sillabe mano a mano che i numeri diventano più grandi: è ovvio che è possibile sostituire a “mille miliardi” il termine “biliardo”, ma, ciò facendo, non si ottiene altro che di spostare di 1.000 posizioni il problema che, alla fine, rimane immutato: esiste un numero tanto grande da non poter essere espresso con meno di N sillabe?

Si enunci allora la seguente “funzione preposizionale”: “essere un numero non esprimibile con meno di N sillabe”. Tutti i numeri che rendono vera tale funzione preposizionale sono elementi di un insieme e precisamente dell’Insieme di tutti i numeri che non possono essere espressi con meno di N sillabe”. Il primo elemento di tale insieme sarà definibile come:” primo elemento dell’insieme dei numeri non esprimibili con meno di N sillabe” frase che, salvo errori di conteggio, ha 23 sillabe.

Scelto N > 23 si verifica la seguente Antinomia: il I elemento dell’Insieme dei Numeri non esprimibili con meno di N sillabe è definibile con 23 < N sillabe. Si supponga, ad esempio, di fissare N = 24 sillabe; un elemento di tale insieme potrebbe essere “cento milioni di miliardi elevato a cento mila milioni di miliardi” che, salvo il sempre possibile errore di conteggio, ha esattamente 24 sillabe. Ora il primo elemento di tale insieme è esprimibile con 23 sillabe e quindi, pur facendo evidentemente parte di tale insieme (infatti ne è il primo elemento) non vi appartiene perché non rispetta la condizione > 24. Quindi il primo elemento dell’insieme dei Numeri Naturali non esprimibili con meno di N sillabe è esprimibile con una frase di M < N sillabe; quindi appartiene all’Insieme se e solo se non vi appartiene.

Antinomia di Weyl

Tutti gli aggettivi possono essere suddivisi in due categorie:

1) quelli che esprimono una proprietà NON applicabile all’aggettivo stesso (definiti Eterologici). Si possono portare infiniti esempi di aggettivi Eterologici: dolce è un aggettivo che non può essere applicato alla parola dolce che, come tale, non è ne dolce ne amara; bello è un aggettivo che non può essere applicato alla parola bello che, come parola non può presentare aspetti estetici; ecc.

2) quelli che esprimono proprietà applicabili all’aggettivo come tale (definiti Autologici). Anche in tale caso si possono portare numerosi esempi: pentasillabo è proprio un aggettivo pentasillabo; sdrucciolo è effettivamente una parola sdrucciola, ecc.

Ora anche Eterologico è un aggettivo e ci si chiede se esso sia Autologico od Eterologico. Ogni aggettivo o è Autologico od è Eterologico. Si supponga che Eterologico sia eterologico; in tale caso non si potrà attribuire tale qualità (cioè la eterologicità) ad esso stesso; ne consegue che non potrà allora che rientrare nell’altra categoria, quella degli Autologici; se si suppone sia Eterologico esso sarà Autologico. Al contrario, se si suppone sia Autologico la proprietà sarà applicabile a se stesso, cioè la eterologicità sarà applicabile; cioè se ipotizziamo sia Autologico, allora esso sarà Eterologico. Si conclude che Eterologico è eterologico se e solo se è autologico (e viceversa).

Antinomie che hanno cambiato la logica moderna: antinomia di Burali-Forti

È qui necessaria una importante premessa: “L’insieme di tutti i Sottoinsiemi di un Insieme dato ha cardinalità (numero di elementi) maggiore della cardinalità dell’Insieme dato. Tale proprietà è banalmente verificabile per un insieme finito. Si consideri l’Insieme delle seguenti 4 lettere dell’alfabeto: I = (a, b, c, d) e si costruiscano tutti i sottoinsiemi di I, compreso il Sottoinsieme Improprio (abcd) ed il Sottoinsieme vuoto e sia M l’Insieme di tutti i Sottoinsiemi di I: M = vuoto, abcd, a, b, c, d, ab, ac, ad, bc, bd, cd, abc, abd, acd, bcd. La cardinalità di M è 16 = 24 >> 4 come da banale relazione di Calcolo Combinatorio.

La relazione Cardinalità di M > Cardinalità di I è valida anche per insiemi infiniti (come ha dimostrato Georg Cantor). Ponendo in relazione biunivoca tutti gli elementi di I con alcuni elementi di M scelti casualmente:

a <=> ac
b <=> cd
c <=> abd
d <=> bd

si nota facilmente una particolarità: alcuni elementi di I sono in corrispondenza con elementi di M che li contengono. Questo è, per esempio, il caso di a (di I) che compare anche in ac (di M) o il caso di d (di I) che compare anche in bd (di M). Altri elementi di I, al contrario, sono accoppiati ad elementi di M che non li contengono; per esempio b (di I) che non compare in cd (di M) o c (di I) che non compare in abd (di M). Tutto ciò è valevole anche per insiemi infiniti.

Si costruisca, infatti, l’Insieme N utilizzando gli elementi di I accoppiati ad elementi di M dove non compaiono le stesse lettere; nell’esempio: N = (bc). Si può facilmente dimostrare che N, cioè (bc) non può essere accoppiato a nessuno degli elementi di I indipendentemente dalla cardinalità di I e, conseguentemente, anche per I infinito.

Infatti N, cioè (bc), non può essere accoppiato con a dato che a è accoppiato con elementi di M dove compare a (e in (bc) a non compare) N, cioè (bc) non può essere accoppiato con b, dato che b è accoppiato solo con elementi di M dove b non compare (e in (bc) c’è b) N, cioè (bc) non può essere accoppiato con c per la medesima ragione vista per b, N non può essere accoppiato con d per la stessa ragione già vista per a. Conclusione: esiste un elemento di M che non può essere accoppiato con nessun elemento di I, cioè M ha almeno un elemento in più di I, ovvero M ha cardinalità maggiore di I.

Ritornando all’Antinomia di Burali Forti, essa afferma che l’Insieme di Tutti gli Insiemi copre l’universalità degli elementi esistenti (reali, immaginabili o solo pensabili) ed è naturalmente un insieme infinito (Insieme Universo U). Ne discende che nessun Insieme potrà avere cardinalità maggiore di U. benché l’Insieme di tutti i Sottoinsiemi di U abbia cardinalità maggiore di U.

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Alberto Sacchi