Quanto resiste il coronavirus sulle superfici?
Quando si parla di SARS-CoV-2 gli interrogativi che ci si pone sono tanti e per alcuni di essi non ci sono ancora risposte scientifiche. Una delle principali domande – ad esempio – è: “quanto resiste il coronavirus sulle superfici?“
Le prime ipotesi
Una risposta a questo quesito hanno cercato di darla i prof. Roberto Burioni e Nicasio Mancini su Medicalfacts.
Nell’articolo pubblicato, in apertura, i due virologi hanno fatto innanzitutto una precisazione: sin da quando il virus ha cominciato a diffondersi in Cina, le ipotesi fatte sui tempi di resistenza e mantenimento della capacità di infettare erano basate esclusivamente su dati relativi ad altri coronavirus (tipo quello della SARS). Non c’era quasi nulla che riguardasse, nello specifico, il SARS-CoV-2.
Le uniche informazioni a disposizione erano relative alla contaminazione ambientale delle stanze nelle quali erano ricoverati i pazienti positivi al nuovo coronavirus.
[bquote by=”R. Burioni – N. Mancini” other=”Virologi”]Avevamo sottolineato come tracce importanti di virus fossero presenti non tanto nell’aria, quanto piuttosto sulle varie superfici della stanza di degenza[/bquote]
Lo studio preso in considerazione, però, si limitava a ricercare il patrimonio genetico del virus più che le particelle integre. Questo non è certamente un dettaglio da trascurare, come spiegano anche i due medici: “solo particelle virali integre sono in grado di infettare se entrano in contatto con il nostro organismo. In altre parole, il virus era sicuramente presente su varie superfici nelle stanze di degenza, ma non si poteva essere sicuri se esso potesse essere anche infettivo“.
Lo studio dei virologi statunitensi
Un nuovo studio condotto negli Stati Uniti ha focalizzato l’attenzione sui tempi di permanenza del SARS-CoV-2 su varie superfici e su come il passare delle ore possa influenzare la sua capacità di infettare. Questo sottolineerebbe – tra le altre raccomandazioni – l’importanza di lavarsi le mani, per evitare il cosiddetto “contagio indiretto“.
Come hanno illustrato Burioni e Mancini, i loro colleghi statunitensi hanno utilizzato quattro superfici – rame, cartone, acciaio inossidabile e plastica – in condizioni di temperatura ed umidità molto simili a quelle delle nostre case (21-23 gradi e 40% di umidità).
I risultati ottenuti
Dai risultati ottenuti, si evince che il nuovo coronavirus non “ama particolarmente” il rame ed il cartone. Per quanto riguarda il primo – spiegano i virologi – è stato osservato “un dimezzamento della capacità infettiva in meno di due ore” e “un abbattimento completo dell’infettività” dopo 4 ore. Per il secondo, invece, la carica si dimezza “entro 5 ore abbondanti” e la sua capacità di infettare si annulla dopo 24 ore.
Tempi più lunghi sono stati registrati, invece, per acciaio e plastica. La carica infettiva si dimezza dopo 6 ore nel primo caso e dopo 7 nel secondo, mentre “un completo azzeramento dell’infettività” si registra – rispettivamente – dopo 48 ore e 72 ore. Nonostante quanto ottenuto dovrà essere confermato da altri studi, questa ricerca ha dato una prima idea su quanto resiste il coronavirus sulle superfici.
Per concludere anche noi – così come Burioni e Mancini – vi invitiamo a rispettare le indicazioni del Ministero della Salute e dell’OMS: lavarsi spesso ed accuratamente le mani, tenere almeno un metro di distanza dalle altre persone ed uscire da casa solo se strettamente necessario.
Per approfondire: https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.09.20033217v2