Le materie scientifiche, specialmente la fisica e la matematica, suscitano in ognuno di noi dei sentimenti diametralmente opposti fra loro. O le si ama o le si odia, non esiste di fatto ambito applicativo del “in medio stat virtus“ di latina memoria. Per queste materie o è bianco o nero, non esiste il grigio. D’altronde com’è che si dice, “la matematica non è un’opinione“. E la riprova di quanto detto si ritrova facilmente nei nostri ricordi scolastici, più o meno piacevoli a seconda che si appartenesse al “club del 3 fisso” piuttosto che a quello delle sufficienze senza troppi problemi.
Questa netta divisione si amplifica ulteriormente quando si entra nell’affascinante (magari non tutti saranno d’accordo con questo aggettivo) mondo delle equazioni. Formule in cui, oltre ai numeri, compaiono anche lettere ed operatori più o meno complessi (differenziali, integrali, derivate, ecc). Alcuni potrebbero pensare: “come si fa a considerare affascinante un insieme incomprensibile di simboli e numeri accostati fra loro?”
Il fascino risiede nel fatto che le equazioni non si riducono solo a quelle fatte a scuola per calcolare i valori della famigerata “x”. Con quei simboli e numeri, opportunamente combinati fra loro, è possibile descrivere fenomeni fisici, chimici, biologici, spaziali che magari abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni! Con le equazioni è quindi possibile dare una forma, materializzare quello che accade intorno a noi quotidianamente. Basti pensare alla formula di Dirac, nota anche come “formula dell’amore”, oppure alla “equazione della vita” di Drake.
Qui ne elenchiamo 18 fra le più importanti e simboliche della storia. Anticipiamo che molte non siano semplici, ma il fascino resta intatto!
Iniziamo il viaggio fra le 18 formulazioni più importanti della storia umana con una formula graficamente semplicissima, costituita da un solo simbolo. Stiamo parlando del famoso pi greco, ma cos’è esattamente?
Si tratta di una costante matematica che esprime il rapporto fra la lunghezza dello sviluppo della sua circonferenza ed il suo diametro. Piccola curiosità, viene indicata con questa lettera in quanto iniziale di περιφέρεια (perifereia), che significa proprio circonferenza in greco. La sua importanza nel mondo scientifico è enorme, al punto che esiste un giorno in cui viene celebrato questo simbolo, il Pi greco day! Quando cade questa data? Ovviamente il 3/14, cioè il 14 Marzo.
Per abitudine si è soliti conoscere il pi greco col valore di 3.14, ma questa costante presenta molte più cifre decimali di quanto si pensi. Nel 2021, ad esempio, si è arrivati alla cifra record di 62,8 trilioni di cifre! Questo valore, più o meno approssimato, è noto all’uomo da oltre 4000 anni, e fu Archimede ad arrotondarlo a 3.14 per primo. Ed è un numero centrale nella scienza: tante delle formule che vedremo dopo lo annoverano, e si ritrova dall’elettromagnetismo alle funzioni periodiche delle vibrazioni delle corde. Una cosa è certa: non esiste scienza senza π!
Proseguiamo con uno dei capisaldi della dinamica, la prima legge di Newton. La formulazione sopra riportata indica che, se in un sistema la sommatoria (o risultante) delle forze è pari a zero, allora la derivata temporale della velocità sarà anch’essa nulla.
L’enunciato più famoso afferma, in maniera equivalente, che: “un corpo persevererà nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fintanto che non intervenga una forza esterna a perturbare tale stato”. Questa asserzione, definita anche come principio di inerzia ed enunciata dal famoso scienziato inglese nella seconda metà del ‘600, potrebbe sembrare in contrasto con quello che (apparentemente) accade tutti i giorni.
Se prendessimo un qualsiasi oggetto, ad esempio una biglia, e la lasciassimo rotolare liberamente su una superficie in moto rettilineo uniforme, noteremmo che dopo un periodo di tempo più o meno lungo questa si fermerebbe. Tutto ciò senza applicarle forze esterne, quindi come è possibile? In realtà una forza agente sulla biglia c’è, ed è rappresentata dall’attrito (pur minimo) che intercorre fra oggetto e superficie. Senza attrito, la biglia continuerebbe il suo moto rettilineo uniforme (caratterizzato da una velocità costante nel tempo) indefinitamente! In altre parole, la sua inerzia (da cui il nome del principio) sarebbe quella di perseverare nel suo stato mantenendo una velocità costante nel tempo.
Questo principio ribalta completamente quello che si credeva fino al ‘600, ossia che i corpi tendessero spontaneamente allo stato di quiete in qualsiasi caso. Il principio di inerzia, va detto, non vale sempre, ma solamente per i sistemi di riferimento cosiddetti inerziali. Questi sono caratterizzati da stati di moto rettilineo uniforme. Questa legge, unitamente alle altre due ad essa associate, costituisce i cardini della spiegazione scientifica del moto dei corpi (almeno a livello macroscopico).
Definita la prima, passiamo alla seconda legge di Newton. Questa, chiamata anche principio di proporzionalità, afferma che la forza agente su un corpo è data dal prodotto fra la massa del corpo stesso e l’accelerazione da questo posseduta. Questa formula (come la precedente) è un’espressione vettoriale, nel quale le coppie forza/accelerazione e forza/velocità hanno stessa direzione e verso.
Con questo principio viene definito univocamente il concetto di forza, a cui si attribuisce l’unità di misura del Newton (N) in onore dello scienziato inglese. Convenzionalmente, una forza di 1 N è definita come quella che, se applicata ad un corpo di massa 1 kg, ne determina un’accelerazione di 1 m/s2. Così come nel primo principio della dinamica è stato introdotto il concetto di inerzia, in questo caso entra in gioco il concetto di massa inerziale. Le due diciture sono imparentate fra loro, in quanto la massa inerziale (grandezza scalare, ossia definita da un numero) indica la tendenza di un corpo ad opporsi a variazioni del suo stato di moto.
Tanto un corpo presenta massa inerziale maggiore, quanto più a parità di forza applicata questo subirà una minore accelerazione. La massa è una caratteristica intrinseca di un corpo (a differenza della forza peso), ossia indipendente dalle condizioni al contorno quale ambiente o modalità di misurazione. Come il principio d’inerzia, anche quest’equazione è valida solo per i sistemi di riferimento inerziali.
Per chiudere, una piccola curiosità: con l’introduzione del secondo principio della dinamica, è possibile esprimere il princcipio d’inerzia come un caso particolare del primo. Se, infatti, su un corpo si applica una forza a risultante nulla, l’accelerazione subita da questo sarà nulla. Ne consegue che la variazione di velocità nel tempo sarà nulla, quindi il corpo si muove a velocità costante (o è fermo).
Non c’è due senza tre, dice il proverbio. Fra le nostre 18 formulazioni dunque, dopo le prime due leggi della dinamica, non poteva certo mancare la terza! Eccoci dunque al terzo principio della dinamica, altrimenti noto come principio di azione e reazione. L’equazione è molto semplice, trattandosi di un’uguaglianza vettoriale tra forze a meno del segno. Tale principio afferma che, dati due corpi chiamati A e B, se il corpo A esercita una forza sul corpo B, conseguentemente il corpo B esercita su A una forza uguale ed opposta in verso.
Dopo aver definito il concetto di forza e di inerzia, col terzo principio della dinamica viene formalizzato il concetto di mutua interazione fra due corpi. Con questo si intende che, ogni volta che due corpi interagiscono dinamicamente fra loro, si genera sempre una coppia di forze di intensità e direzione uguali ma di verso opposto, ognuna agente su uno dei due corpi. In questo il terzo principio della dinamica differisce notevolmente dai precedenti, perché fa sempre riferimento ad una coppia di corpi e mai ad un unico corpo.
Semplificando le cose, possiamo fare un semplice esempio chiarificatore: supponiamo di calciare una palla, ed analizziamo l’azione. Nel momento in cui il nostro piede va a colpire la superficie del pallone, imprimiamo a quest’ultimo una forza che lo allontana dalla posizione iniziale ad una certa velocità. Nello stesso istante, il pallone esercita una forza analoga ma opposta in verso nei confronti del nostro piede. Perché, però, non subiamo effettivamente l’effetto della forza del pallone allo stesso modo con cui questo viene calciato? Semplicemente perché entra in gioco il secondo principio! Il nostro corpo ha infatti una massa molto maggiore di quella del pallone, ragion per cui l’accelerazione da noi subìta è notevolmente inferiore a quella impressa al pallone.
Iniziamo ora a complicare un po’ le cose, abbandonando le semplici equazioni con le operazioni elementari ed introducendo la funzione esponenziale. In questo ambito, una formula forse meno nota delle precedenti, ma è considerata una delle formule matematiche più belle e importanti della storia. Si tratta di un particolare caso della formula di Eulero (relazione fra funzioni trigonometriche seno e coseno efunzione esponenziale complessa) in cui la variabile è uguale al prima citato π (pi greco).
L’identità di Eulero è un’equazione matematica che afferma l’uguaglianza fra eiπ e -1, dove e è la base del logaritmo naturale, i è l’unità immaginaria e π, come detto, è la costante matematica che rappresenta il rapporto di un cerchio circonferenza al suo diametro.
La bellezza e l’eleganza di questa formula risiede innanzitutto nei suoi “protagonisti”. Questa, infatti, collega cinque delle costanti matematiche più importanti: e, i, pi greco, 1 e 0. L’identità prende il nome dal matematico svizzero del XVIII secolo Leonhard Euler, che fu uno dei primi a usare la lettera “e” per rappresentare la base del logaritmo naturale e introdusse anche il concetto di unità immaginaria “i”. Nel corso dei secoli tanti scienziati ne hanno decantato le virtù di bellezza, semplicità ed eleganza. Richard Feynman, uno dei matematici più importanti del ‘900, non esitò a definire l’identità di Eulero “la formula più straordinaria in matematica”.
Oltre alla presenza delle costanti, infatti, l’equazione presenta un solo termine per membro e contiene tutti gli operatori fondamentali dell’aritmetica (uguaglianza, addizione, moltiplicazione ed esponenziazione). La rappresentazione della perfezione, in altre parole!
L’identità è anche collegata a molti rami della matematica e della fisica, come l’analisi complessa, la trigonometria e la meccanica quantistica.
Passiamo ora in rassegna, fra le 18 formulazioni, una formula decisamente meno elegante della precedente, e molto più “cervellotica”. Ci riferiamo alla distribuzione normale di Gauss, una delle più note nel campo della probabilità e della statistica. Si tratta di una distribuzione di probabilità continua usata come prima approssimazione per descrivere eventi i cui risultati che tendono a concentrarsi attorno a un singolo valor medio all’interno della possibile gamma.
Attribuita a Gauss (sebbene De Moivre, uno dei padri della statistica, l’avesse introdotta ben prima), questa formula è una distribuzione di probabilità simmetrica rispetto alla media, con la sua diffusione determinata dalla deviazione standard. È definito dalla funzione di densità di probabilità:
dove x è la variabile casuale, μ è la media e σ è la deviazione standard. La distribuzione gaussiana è comunemente usata in statistica e fisica per descrivere il comportamento di innumerevoli fenomeni naturali. La distribuzione degli errori nelle misurazioni o la distribuzione delle velocità delle particelle in un gas ne sono solo alcuni esempi. Ma possiamo fare esempi di tutti i tipi, si pensi al peso o all’altezza di tutte le persone sulla Terra. Casi estremi (come quelli di persone estremamente alte o basse) sono poco frequenti, mentre altezze standard risultano affollare con maggior frequenza il campionamento statistico.
Ne consegue che, a livello grafico, questa distribuzione sia nota anche come “curva a campana” dalla somiglianza con la forma dell’oggetto appena nominato. Una piccola curiosità finale: esiste un oggetto, la tavola di Galton, con cui dimostrare che con una dimensione campionaria sufficiente la distribuzione ottenuta approssima una distribuzione normale. Costituita da una tavola verticale con palline e file di pioli interfogliati, quando le palline vengono lasciate cadere dall’alto si impilano in colonne costituenti una curva a campana.
Altro giro, altra corsa. Passiamo dalla probabilità alla termodinamica, branca di fisica e chimica che si occupa dello studio del calore e della sua trasformazione in lavoro (mediante variazioni di temperatura ed energia). In questo campo una delle equazioni fondamentali è la prima legge della termodinamica, che sebbene abbia questo nome non è la prima formulazione in questo senso. Esiste infatti il principio zero della termodinamica, detto anche dell’equilibrio termico. Questo in sostanza afferma che due corpi che itneragiscono fra loro dopo un certo tempo raggiungeranno l’equilibrio termico fra loro.
Il primo principio della termodinamica, detto anche legge della conservazione dell’energia, afferma che l’energia non può essere creata o distrutta, ma solo trasferita o trasformata da una forma all’altra. Ciò significa che la quantità totale di energia in un sistema chiuso rimarrà costante nel tempo. Viene spesso chiamata equazione del “bilancio energetico” ed è un principio fondamentale della termodinamica e di tutte le forme di conversione dell’energia.
Il primo principio viene tradizionalmente enuncia che la variazione dell’energia interna di un sistema termodinamico chiuso è uguale alla differenza tra il calore fornito al sistema e il lavoro compiuto dal sistema sull’ambiente. La corrispondente formulazione matematica si esprime come:
La formula che andiamo ora ad analizzare rientra principalmente nell’ambito della termodinamica, anche se applicabile ad una moltitudine di ambiti. Stiamo facendo riferimento all’entropia, misura del disordine o della casualità di un sistema. In termodinamica, l’entropia è definita come la quantità di energia termica in un sistema che non è disponibile per svolgere lavoro utile. L’entropia è una delle funzioni di stato di un sistema termodinamico, generalmente indicata con il simbolo S. Se questa assume un valore basso il sistema è ordinato e l’energia utile per produrre lavoro è massima. Al contrario, ad alti valori di entropia coincidono bassi valori di energia utile.
Questa può convenientemente essere espressa mediante la formulazione matematica di Boltzmann, che poi è quella riportata nella figura sopra. In questa, kB è la costante di Boltzmann (sorta di fattore di conversione della temperatura misurata in gradi Kelvin e in Joule, ossia in termini energetici) e vale:
Entriamo ufficialmente nel (complesso) mondo dell’elettromagnetismo. Questa branca della fisica si occupa dei fenomeni che coinvolgono corpi dotati di carica elettrica e delle interazioni tra queste e i campi magnetici. Comprende una vasta gamma di fenomeni, tra cui elettricità, magnetismo e luce. La forza fondamentale dell’elettromagnetismo è trasportata dalle onde elettromagnetiche, che includono onde radio, microonde, radiazione infrarossa, luce visibile, radiazione ultravioletta, raggi X e raggi gamma. L’elettromagnetismo è fondamentale in molte aree della tecnologia moderna, tra cui generazione e trasmissione di energia elettrica, elettronica, telecomunicazioni ed imaging medico.
Il comportamento delle cariche elettriche è descritto dalle leggi dell’elettromagnetismo, che sono incorporate nelle equazioni di Maxwell. Queste sono un insieme di quattro equazioni che descrivono il comportamento dei campi elettrici e magnetici. Sono considerati uno degli insiemi di equazioni più importanti in fisica, poiché unificano i fenomeni (precedentemente separati) di elettricità e magnetismo in un’unica teoria dell’elettromagnetismo. Le equazioni descrivono il modo in cui le cariche elettriche e le correnti creano campi elettromagnetici e il modo in cui questi campi interagiscono con le cariche e le correnti. Sono fondamentali, come detto, per la nostra comprensione di un’ampia gamma di fenomeni fisici.
Fra queste c’è la legge di Gauss relativa al vettore campo magnetico, per cui il flusso magnetico attraverso qualsiasi superficie chiusa è nullo. In linguaggio matematico si dice che “nabla B è uguale a zero”. In altre parole, il numero totale di linee di campo magnetico che entrano in una superficie chiusa dev’essere uguale al numero di linee uscenti da essa. Questa formula mostra le differenze fra campo magnetico ed elettrico, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è proporzionale alla carica racchiusa all’interno della stessa. Ciò dipende dal fatto che non esistano monopòli magnetici, mentre esistono monopòli elettrici (le singole cariche).
Per restare in tema di elettromagnetismo ed equazioni di Maxwell, passiamo ora al flusso del vettore campo elettrico. Si entra dunque nel campo della legge di Faraday-Neumann-Lenz, dal nome degli scienziati coinvolti nella scoperta. La legge di Faraday afferma che la forza elettromotrice indotta (FEM) in un circuito chiuso è uguale al negativo della velocità di variazione del flusso magnetico attraverso il circuito. In altre parole, se il campo magnetico attraverso una spira di filo cambia, all’interno di tale spira verrà generata una forza elettromotrice, provocando il flusso di corrente. Col linguaggio matematico si dice che “nabla E è uguale, a meno del segno, alla derivata temporale del vettore campo magnetico”.
Questa legge afferma in altre parole che la direzione della corrente indotta è tale da opporsi al cambiamento che l’ha provocata. Ribaltando il punto di vista, questa formula spiega il concetto di induzione elettromagnetica. Ovvero, la variazione del flusso magnetico attraverso la superficie di un circuito determina una corrente indotta, e questo implica la presenza di una forza elettromotrice (indotta) che la produce. La relazione che sussiste fra FEM indotta e variazione del flusso del vettore B ha validità generale, basta avere un circuito immerso in un campo magnetico.
Questa formula porta il nome di ben tre scienziati, come detto, di fatto perché risulta essere una convergenza di tre risultati separati ma complementari:
Per chiudere il cerchio dell’elettromagnetismo analizziamo la legge di Ampère. In qualche modo è un corrispettivo della precedente formula, in quanto mette in relazione campo elettrico e campo magnetico ribaltandone il punto di vista. In questo caso si determina un’uguaglianza fra il flusso del vettore campo magnetico ed il campo elettrico. La legge di Ampere afferma che l’integrale di linea del campo magnetico attorno a un anello chiuso è uguale alla corrente che passa attraverso l’anello moltiplicata per la costante di permeabilità magnetica nel vuoto. Questa costante vale:
In altre parole, il campo magnetico totale lungo un circuito chiuso è proporzionale alla corrente elettrica che lo attraversa. Questa relazione è importante nello studio dei campi elettromagnetici e viene utilizzata per calcolare i campi magnetici generati dalle correnti elettriche in varie situazioni. Viene anche utilizzato nella progettazione di dispositivi elettrici come motori e generatori.
Per come è stato enunciato finora, la legge di Ampère presenterebbe solamente un termine a destra e uno a sinistra dell’uguale. In linguaggio matematico si avrebbe che “nabla B è uguale al prodotto fra correnti concatenate e costante di permeabilità magnetica nel vuoto”. Dalla formula riportata nella figura sovrastante si nota come in realtà ci sia un altro termine al secondo membro. Come si spiega questa cosa?
Il secondo termine entra in gioco nel set di 4 equazioni di Maxwelle dell’elettromagnetismo, nella formulazione classica di Ampère non è nominato. Con questo termine si considerano i casi in cui il campo elettrico sia non stazionario, ossia variabile nel tempo. A meno del segno e del prodotto con le costanti di permeabilità magnetica nel vuoto e dielettrica nel vuoto, che vale:
Lasciamo l’elettromagnetismo per trasferirci dalle parti della fisica quantistica e di un altro genio, Albert Einstein. A formula a cui facciamo ora riferimento è l’equazione per antonomasia, tutti almeno una volta nella vita hanno visto o letto la famosissima “E è uguale a emme per ci al quadrato”. E si tratta di un’espressione che, nella sua eleganza e semplicità, risulta assolutamente rivoluzionaria.
Derivata dalla teoria della relatività dello stesso Einstein (avente lo scopo di unificare sotto un’unica spiegazione fisica i fenomeni classici e quelli elettromagnetici), questa formula definisce l’equivalenza fra massa ed energia. In altre parole, massa ed energia sono grandezze fra di loro interscambiabili.
Secondo la teoria della relatività, di fatto la massa è una forma di energia. A livello operativo, l’equazione afferma che l’energia è uguale al prodotto fra massa e quadrato della velocità della luce nel vuoto (pari a circa 300’000 chilometri al secondo). Mentre nella fisica classica la conservazione dell’energia e della massa sono due concetti separati, con la formula di Einstein non esiste conservazione di massa o energia considerate separatamente ma vi è conservazione dell’insieme delle due.
La relazione di equivalenza massa/energia è una delle fondamenta della fisica nucleare. Sfruttando quanto affermato prima si spiegano vari fenomeni quali la fissione o la fusione nucleare atomica o il decadimento radioattivo di alcuni materiali. In tutti questi fenomeni, naturalmente o artificialmente, si generano quantitativi di energia più o meno grandi da particelle di dimensioni infinitesime. Questo è possibile grazie alle elevatissime velocità cui queste vengono “mosse” durante i fenomeni sopra detti.
L’equivalenza massa-energia di Einstein ha aperto il calderone della fisica quantistica, che prosegue con la formulazione del fattore di Lorentz. Questo, noto anche come numero di Lorentz o fattore gamma, è un’espressione matematica usata nella relatività ristretta. È definito come:
dove v è la velocità di un oggetto e c è la velocità della luce nel vuoto (come detto, pari a circa 300’000 chilometri al secondo). Questo fattore, che risulta adimensionale, è funzione della velocità di un sistema di riferimento inerziale (abbiamo visto in precedenza cosa significhi) rispetto ad un altro. Matematicamente questa equazione ha senso quando la velocità del sistema di riferimento è compresa fra 0 e la velocità della luce (costante ed insuperabile secondo la fisica quantistica).
Il fattore di Lorentz viene utilizzato per descrivere la relazione tra il frame di riposo di un oggetto e il suo frame di riferimento in movimento. Avendo, come detto, senso solo per velocità dei sistemi di riferimento comprese fra 0 e la velocità della luce, questo fattore dà un’informazione sulla “componente quantistica” di un sistema di riferimento. Per velocità molto basse rispetto a quella della luce, γ è prossimo a 1: per intenderci, un treno che viaggia a 300 km/h possiede γ = 1.0000000000004! Quando invece ci si inizia a muovere a velocità che siano prossime a quelle della luce, γ cresce fino a tendere all’infinito per v = c.
Svolge ruolo chiave nelle trasformazioni di Lorentz, descriventi come le coordinate spazio-temporali vengano trasformate da un sistema di riferimento a un altro. Il fattore di Lorentz viene utilizzato anche per calcolare la dilatazione del tempo e la contrazione della lunghezza, che sono effetti fondamentali della relatività ristretta. Comprenderne appieno il significato, apparentemente semplice, di fatto equivale ad avvicinarsi molto al senso della relatività ristretta!
Arrivano i pezzi forti, preparatevi! Queste ultime formule, infatti, sono alquanto più complesse di gran parte di quelle viste finora. La prima che passiamo in rassegna è il principio d’indeterminazione di Heisenberg, uno dei capisaldi della meccanica quantistica (branca della fisica che tratta le interazioni atomiche e subatomiche fra materia e radiazioni). Questo principio afferma un concetto molto importante che vale per ogni tipologia di sistema particellare esistente in natura, e che distingue questi ultimi dai corpi oggetto della fisica classica.
Il principio d’indeterminazione di Heisenberg afferma che più precisamente si conosce la posizione di una particella, meno precisamente si può conoscere la sua quantità di moto, e viceversa. Ciò è dovuto alla natura ondulatoria delle particelle a livello quantico, dove l’atto di misurare la posizione di una particella può disturbarne la quantità di moto e viceversa. Il principio di indeterminazione è un principio fondamentale della meccanica quantistica ed è un limite fondamentale alla precisione con cui si possono conoscere determinate proprietà di una particella. Questo limite, al contrario, non è proprio della fisica classica, dove è possibile conoscere posizione e quantità di moto di un corpo senza alterarne i valori all’atto della misurazione. Questo perché a livello macroscopico le perturbazioni dovute alle misurazioni (sempre presenti a qualsiasi scala di osservazione) sono di fatto ininfluenti, a differenza di ciò che accade nel mondo particellare.
A livello matematico, questo principio si esplicita con una disequazione i cui termini hanno i seguenti significati:
Il principio d’indeterminazione di Heisenberg è fondamentale nella meccanica quantistica e ha importanti implicazioni in molti campi, tra cui chimica, biologia e ingegneria.
Proseguiamo con un altro peso massimo della meccanica quantistica, l’equazione di Schrödinger. Si tratta di un’equazione fondamentale nella meccanica quantistica che descrive l’evoluzione nel tempo di un sistema meccanico quantistico. Fu proposta dal fisico austriaco Erwin Schrödinger nel 1926, che grazie a questa vinse nel 1933 il Nobel per la fisica. Si tratta di un’equazione alle derivate parziali che descrive il comportamento di una funzione d’onda, che è una funzione matematica che descrive la distribuzione di probabilità della posizione e della quantità di moto di una particella. Questa si basa sui principi della dualità onda-particella e sul principio di indeterminazione visto prima, che affermano che è impossibile conoscere contemporaneamente la posizione e la quantità di moto precise di una particella.
L’equazione tiene conto degli effetti dell’energia e dell’energia potenziale del sistema, nonché degli effetti di eventuali forze esterne che agiscono sul sistema. La soluzione dell’equazione di Schrödinger fornisce la distribuzione di probabilità dello stato del sistema in un dato momento. Nella formulazione i vari termini che vi compaiono hanno i seguenti significati:
Quest’equazione è una delle più importanti nella meccanica quantistica e costituisce la base per molte delle previsioni e spiegazioni in questo campo. L’equazione viene utilizzata per calcolare la probabilità di trovare una particella in una particolare posizione in un determinato momento (ad es. un elettrone in un atomo). È un’equazione centrale della meccanica quantistica e svolge un ruolo chiave nella comprensione del comportamento degli atomi, molecole e particelle subatomiche.
In stretta connessione conl’equazione di Schrödinger c’è il principio di sovrapposizione, il primo vero postulato della meccanica quantistica. Questo afferma che, al pari di quanto accade nelle onde proprie della fisica classica, anche gli stati quantici possono essere combinati e sovrapposti linearmente fra loro. La sovrapposizione quantistica si riferisce al concetto della meccanica quantistica in cui un sistema quantistico può esistere in più stati contemporaneamente. Ciò significa che una particella può trovarsi in più punti, avere più stati di spin o esistere in più stati energetici contemporaneamente. Il concetto di sovrapposizione aiuta a spiegare alcuni degli strani comportamenti osservati nel mondo quantistico microscopico, come l’interferenza delle particelle quantistiche e il principio di indeterminazione (visto in precedenza).
Molti, osservando l’immagine, potrebbero pensare: “perché mai compare un gatto?”. Domanda legittima, cerchiamo di scoprire il perché. Il fatto che una particella possa trovarsi, in un determinato istante, in più stati e posizioni contemporaneamente ha trovato una spiegazione con… un gatto.
Si tratta del famosissimo paradosso del gatto di Schrödinger, esperimento mentale di meccanica quantistica. Ha lo scopo di illustrare il paradosso della dualità onda-particella. Ovvero l’idea, come detto, che le particelle subatomiche possano esistere in più stati contemporaneamente. L’esperimento consiste nel mettere un gatto in una scatola sigillata con una sostanza radioattiva e un dispositivo letale (come un veleno). Il dispositivo letale è attivato da un evento subatomico avente una certa probabilità di accadimento spontaneo in un dato sistema fisico. Secondo la meccanica quantistica, finché la scatola non viene aperta e non si osserva lo stato della sostanza, il gatto è sia vivo che morto. Questo esperimento mentale sfida l’interpretazione classica della realtà e mette in luce le apparenti incoerenze nella meccanica quantistica.
Sia chiaro, nessun gatto reale è stato maltrattato in questo esperimento!
Siamo arrivati alla fine di questa lunga e complessa lista di 18 formulazioni. Non potevamo che finire con l’ennesimo contributo scientifico di Einstein, costituito dall’equazione di campo. Nota appunto anche come equazione di Einstein, è un insieme di dieci equazioni alle derivate parziali non lineari che descrivono la curvatura dello spaziotempo e il comportamento della materia e dell’energia al suo interno. Costituisce la base della teoria della relatività generale di Einstein, che fu pubblicata nel 1915 e rivoluzionò la nostra comprensione della gravità.
L’equazione afferma che la curvatura dello spaziotempo è direttamente proporzionale alla distribuzione e al movimento della materia e dell’energia al suo interno. Questa relazione tra la geometria dello spaziotempo e la presenza di materia ed energia è ciò che dà origine alle forze gravitazionali.
Una delle previsioni chiave della relatività generale è che gli oggetti massicci causano una distorsione o curvatura dello spaziotempo, che a sua volta influenza il percorso di altri oggetti che si muovono nelle vicinanze. Ciò porta al fenomeno osservato della gravità, in cui gli oggetti cadono l’uno verso l’altro a causa della curvatura dello spaziotempo. L’equazione di campo è stata confermata da numerosi esperimenti e osservazioni, inclusa la famosa misurazione dell’eclissi solare del 1919 della deflessione della luce delle stelle da parte del Sole, che ha verificato una delle previsioni chiave della relatività generale. L’equazione è stata utilizzata anche per spiegare un’ampia gamma di fenomeni astrofisici, come i buchi neri e le onde gravitazionali. Oltre che per fare previsioni sulla distribuzione della materia e sulla formazione di strutture su larga scala nell’universo.
Nel complesso, l’equazione di Einstein rimane uno dei risultati più famosi e importanti nella storia della fisica e continua ad essere oggetto di continue ricerche e indagini sia nella fisica teorica che in quella osservativa.