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Le grandi menti amano il caffè: una bevanda tra culto e dipendenza

scritta led CAFE di un bar cittadino

caffé cittadini: punto di ritrovo della nostra realtà

Bach, Beethoven, Roosevelt, Franklin, Kierkegaard e Voltaire sono solo alcune delle grandi menti del passato che hanno amato il caffè al limite tra culto e dipendenza. Si dice che Beethoven usasse prepararlo utilizzando esattamente 60 chicchi di caffé, che Voltaire ne bevesse 40-50 tazze al giorno e che Kierkegaard aggiungesse circa 30 zollette. Nel 1732, Bach ha persino dedicato alla bevanda The coffee cantata, una trasposizione in musica del divertente poema del suo collaboratore Picander e una stoccata alla cultura del tempo, che concepiva il caffé come bevanda simbolo del vizio. Insomma, che sia l’epoca barocca, dell’Illuminismo o l’età contemporanea, il caffè la fa da protagonista. Ma cosa lo rende tanto popolare e amato?

tazzina di caffè su sfondo bianco e nero
if you have a mind for coffee here it is; if not, why let it alone? (cit. Voltaire)

La sostanza del successo

Ah che bellu cafè, cantava De André nel suo brano Don Raffae’, dando voce ad un apprezzamento che tutti, almeno una volta, abbiamo pensato annusando l’aroma di una tazzina di caffè .
E’ indubbio: la ragione del suo successo è la caffeina, tant’è vero che la sostanza è oggi addizionata nelle numerose bevande che vanno sotto il nome di energy drinks. Attualmente, la caffeina è la droga più consumata a livello mondiale. La sostanza agisce come stimolante del sistema nervoso centrale, quindi nel breve periodo diminuisce la sonnolenza e ci rende più attivi e performanti, regalandoci un senso di benessere. Ecco perché, quando si parla di caffè, il limite tra culto e dipendenza si fa sottile.

Come agisce il caffé? Ecco come riesce a interagire con il cervello

La molecola di caffeina è in grado di oltrepassre la barriera emato-encefalica del cervello, ossia l’unità anatomico-funzionale formata dalle cellule epiteliali dei vasi sanguigni del sistema nervoso che evita l’ingresso nell’organo di eventuali virus e sostanze nocive presenti nel sangue. Anche altre droghe, quali alcool, nicotina e antidepressivi riescono ugualmente a penetrarla. Come la caffeina riesca a far ingresso nel cervello non è chiaro ancora al 100%, ma la molecola possiede caratteristiche vantaggiose. Innanzitutto è solubile sia in acqua che in lipidi, pertanto ha facilità nell’oltrepassare la maggior parte delle membrane del corpo umano; inoltre, tende a sfruttare il trasportatore che è normalmente deputato all’adenosina, sostanza prodotta da tutte le cellule umane.

moka sul gas
particolare: moka sul fornello di casa

Un buon caffé per ingranare la mattina: ecco perché e come riesce a svegliarci

Proprio alla somiglianza tra la molecola di caffeina e quella di adenosina è dovuta l’efficacia della sua azione sul cervello. L’adenosina svolge nell’organismo diverse funzioni , ma ciò che per noi è importante è la sua azione come neurotrasmettitore inibitore o depressore del sistema nervoso centrale. Essa si lega ai neurotrasmettitori diminuendone la mobilità. L’evento costituisce un segnale cellulare che induce un rallentamento del funzionamento delle cellule del sistema nervoso e una dilatazione dei capillari sanguigni, causando così una sensazione di sonnolenza. Poiché l’adenosina è continuamente prodotta dal corpo, la sua quantità si accumula nel corso della giornata aumentando progressivamente il bisogno di dormire.

La caffeina, eroe dei tempi moderni che ci sostiene durante le nostre giornate frenetiche, agisce come antagonista. Essendo strutturalmente simile alla adenosina, una volta superata la barriera emato-encefalica, si lega ai recettori normalmente accoglienti l’adenosina, soddisfando perfettamente il modello di interazione chiave-serratura. La caffeina, quindi, rallenta l’accumularsi dell’adenosina nel sistema nervoso centrale e, in aggiunta, agisce in modo opposto ad essa provocando l’aumento dell’attività delle cellule cerebrali e la costrizione dei vasi sanguigni. A questo meccanismo si deve l’incremento di lucidità ed energia che ci fa tanto apprezzare una bel caffè fumante.

Il caffè stimola il piacere: svelato il segreto della dipendenza

Avete presente il cliché della persona scontrosa che dopo il caffè della mattina si trasforma in un amabile essere sociale? Suppongo di sì, ma sappiate che oltre ad essere un luogo comune è una verità con solide basi scientifiche.
Oltre ad attivarci, la caffeina crea benessere. Nel momento in cui la sostanza si lega ai recettori della adenosina viene stimolata la produzione del neurotrasmettitore dopamina e l’attività dei recettori deputati, sortendo nuovamente l’effetto opposto di quello dovuto all’accumulo di adenosina. La dopamina è rilasciata per generare un senso di piacere e indurci a ripetere di nuovo l’azione scatenante. Il neurotrasmettitore è per esempio prodotto quando si mangia. Questo spiega il labile confine tra culto e dipendenza quando si parla del consumo di caffé: la dopamina fa sì che il caffé sia associato a sensazioni positive e questo induce a berne sempre di più e porta a non poterne più fare a meno.
Altri effetti dovuti alla dopamina sono l’aumento di attenzione e della facilità nella coordinazione dei movimenti, che diventano anche più veloci.

La metabolizzazione della caffeina

L’effetto stimolante non si esaurisce con l’ingresso della caffeina nel cervello. Quando la molecola arriva al fegato viene scissa in tre isomeri strutturali nelle percentuali indicate qui di seguito: paraxantina (84%), teobromina (12%) e teofillina (4%), la cui formula bruta è C7H8N4O2. La paraxantina agisce sempre come stimolante del sistema nervoso centrale, sia aumentando il contenuto di adrenalina nel sangue, sia facilitando la mobilitazione del grasso come fonte energetica per il lavoro muscolare e quindi aumentando l’atleticità della persona; la teobromina aumenta il flusso di ossigeno e nutrienti al cervello, dilata i vasi sanguigni e aumenta il volume dell’urina, mentre la teofillina incrementa il battito cardiaco e la forza delle contrazioni cardiache.
Considerando insieme tutti gli effetti descritti, non c’è da stupirsi se il caffè spopola in tutto il mondo e che la caffeina sia la droga più consumata a livello globale.

particolare pianta di caffè
ramo con semi di caffè

Se bevo caffè sono drogato?

Dire che che la caffeina è una droga è improprio se si considera il termine in senso stretto. Secondo il National Institute of Drug Abuse, nonostante il consumo di caffeina nel lungo termine possa avere effetti collaterali, soprattutto se massiccio, non rappresenta un fattore di rischio per la vita o la salute della persona. La caffeina non è paragonabile né alla nicotina né alla metanfetamina.

Ma allora, come si sviluppa la “dipendenza” da caffè sul lungo termine?

Come detto in precedenza la caffeina agisce come antagonista della adenosina, prevenendone l’accumulo nel cervello e gli effetti conseguenti. Il consumo prolungato nel tempo della sostanza può portare all’aumento del numero dei recettori accoglienti la adenosina. Contemporanemante diminuiscono i recettori della noradrenalina, uno stimolante prodotto naturalmente dal corpo. In altre parole, è facilitata l’azione della adenosina e limitata la stimolazione endogena. Il corpo si adatta generando cambiamenti strutturali che compensano l’effetto stimolante dell’introduzione di caffeina dall’esterno. Si sviluppa tolleranza: il quantitativo di caffeina necessario ad avere un certo effetto diventa via via sempre maggiore. Ogni persona reagisce diversamente: non è detto che tutti i consumatori abituali sviluppino assuefazione, tantomeno in egual misura.

Astinenza da caffé: i sintomi

L’astinenza si verifica nel caso di interruzione repentina dell’assunzione di caffeina da parte di un consumatore abituale. Il cervello della persona, abituato ad operare in presenza della sostanza, si ritrova senza equilibrio chimico. L’effetto della adenosina è eccessivo e si avvertono forte sonnolenza, irritabilità, lentezza e difficoltà a concentrarsi, depressione, mal di testa. Quest’ultimo, in particolare è dovuto alla vasodilatazione indotta dalla adenosina, mentre l’umore a terra è causato dalla mancata stimolazione alla produzione di dopamina e serotonina.
Fortunatamente la dipendenza è reversibile. L’interruzione dell’assunzione di caffè per un tempo che va dai 7 ai 12 giorni consente al cervello di ristabilire il normale numero di recettori.

Overdose di caffè: è possibile?

L’overdose di caffè corrisponde a un quantitativo pari a 150-200 mg di caffeina per chilo corporeo. In termini pratici, si parla di un quantitativo pari a 80-100 tazze di caffè, assunto in una volta sola da un adulto medio. E’ chiaro quindi come la morte per overdose non possa essere causata dal classico consumo di caffè, ma piuttosto è possibile nel caso di assunzione smodata di pillole di caffeina

ragazzo che beve caffè sul divano
il caffè: una coccola quotidiana

Per concludere

Il caffé è ormai parte della nostra cultura e della vita quotidiana. Senza eccedere, il suo consumo si dimostra benefico e ci regala un momento per noi stessi, magari in compagnia delle persone che amiamo . Non possiamo che essere d’accordo con J.S.Bach, che ne The cofee cantata scrive: Senza il mio caffé mattutino sono come un pezzo di capra arrostita (Without my morning coffee I am like a piece of roasted-goat).