Covid19, uno studio cinese: “Anticorpi nel 100% dei guariti”
Chi contrae il Covid19 e guarisce dalla malattia, sviluppa anticorpi. È questo il risultato di uno studio condotto in Cina, pubblicato qualche giorno fa su Nature Medicine e rilanciato sui social – tra gli altri – anche dal noto virologo Roberto Burioni che su Twitter scrive: “Buona notizia: seppure in quantità variabili, i pazienti guariti da COVID-19 producono anticorpi contro il virus. Questo è bene perché rende affidabile la diagnosi sierologica e, se gli anticorpi fossero proteggenti, promette bene per l’immunità“. Anche il dott. Guido Silvestri, professore di virologia presso l’Emory University di Atlanta, ha citato lo studio cinese in un suo post su Facebook intitolato “Megapillola di ottimismo”.
Covid19, test sierologici e anticorpi: perché sono importanti?
Oltre al vaccino contro il Covid19 di cui si sente parlare quasi quotidianamente (soprattutto negli ultimi giorni, viste le dichiarazioni dei ricercatori dello Janner Institute di Oxford) e al tampone, un altro termine ricorrente che ha caratterizzato questa pandemia è “test sierologico”. Mentre il tampone ha lo scopo di rilevare la presenza del nuovo coronavirus all’interno delle mucose respiratorie in modo da poter verificare se un paziente è, in quel momento, positivo al Covid19 oppure no, il test sierologico permette di scoprire, tramite l’individuazione degli anticorpi IgM e IgG, se un soggetto ha già contratto – anche in maniera asintomatica – l’infezione (i nostri colleghi di Biomedical hanno spiegato nel dettaglio come funzionano i test sierologici e quanto questi possano essere importanti per la pianificazione della fase post-lockdown).
Il primo risultato: i guariti sviluppano anticorpi
Lo studio di cui vi parlavamo in apertura ha visto coinvolti 285 pazienti positivi al Covid19 e per rilevare la presenza di anticorpi, i ricercatori hanno validato ed utilizzato un test immunoenzimatico a chemiluminescenza magnetica (MCLIA). I risultati ottenuti sono incoraggianti: dopo circa 17-19 giorni dalla comparsa dei sintomi, il 100% dei pazienti aveva sviluppato anticorpi IgG specifici contro il Sars-CoV-2 mentre dopo 20-22 giorni dai primi sintomi, il 94.1% del campione aveva sviluppato anticorpi IgM. In più, specificano gli autori della pubblicazione, entrambe le immunoglobine hanno raggiunto il plateau “entro 6 giorni dalla sieroconversione” (comparsa di anticorpi specifici nel siero).
Ricordiamo che rispetto alle IgG, le IgM si sviluppano entro 4-5 giorni dalla comparsa dei sintomi e tendono a scomparire entro qualche settimana, lasciando spazio alle IgG. La presenza di quest’ultime, dunque, è un chiaro segnale che l’infezione è avvenuta diverso tempo prima e che quindi si dovrebbe essere immuni al virus (il condizionale è d’obbligo nel caso del nuovo coronavirus in quanto non è ancora certo che i soggetti guariti non possano reinfettarsi).
Altri importanti risultati
Un altro importante risultato raggiunto dallo studio è che la presenza di anticorpi ha permesso di confermare 3 infezioni su 52 pazienti con sintomi o radiografie sospette, anche se erano risultati negativi al tampone. Quindi come riportato anche dal dott. Roberto Burioni sul portale Medicalfacts: “Gli anticorpi sono un test più sensibile del tampone ma necessitano di più tempo per positivizzarsi“. Infine, i ricercatori hanno analizzato un campione di 164 soggetti che hanno avuto contatti con pazienti positivi, dimostrando nuovamente l’importanza degli anticorpi: tutti avevano sviluppato anticorpi dopo circa 30 giorni dal contatto, 16 su 164 erano risultati positivi ma anche in questo caso in altri 7 individui, negativi al tampone, sono stati trovati gli anticorpi specifici contro il nuovo coronavirus.